Reliquie residue, fragili contemporaneità

ALBERTO DAMBRUOSO

RELIQUIE RESIDUE, FRAGILI CONTEMPORANEITÀ

Il nucleo tematico da cui si sviluppa la ricerca artistica portata avanti negli ultimi anni da Mauro Magni e di cui questa mostra ne documenta alcuni dei suoi recenti frutti, va individuato all’interno della sua iconosfera familiare, ovvero in quell’affaccio dalla sua finestra di casa dal quale a nord si erge maestosa una montagna, il cui pendio arriva quasi a ridosso della sua abitazione. Come avvenne per il suo illustre predecessore Cézanne, che colse nella Montaigne di Saint Victoire, le diverse sfaccettature di un monte uguale eppur sempre diverso fino a tarlo trasformare in pura forma-colore, astrazione di un’idea, Magni, partendo dalla forma-montagna arriva a parlarci non solo della sua condizione interiore di uomo e di artista ma anche della società in cui viviamo.
Così la montagna in un processo d’intenzionale trasfigurazione, ha finito per assumere nel tempo le forme di una torre, anzi della Torre per antonomasia, quella di Babele, con il suo infinito serbatoio di rimandi semantici oltreché allegorici che ci riportano alla condizione dell’oggi. Un oggi, quello rappresentato dall’artista, che viene colto nel suo precario equilibrio tra naturale e artificiale; quest’ultimo indotto da una società alla ricerca di sempre nuove panacee per illudere l’uomo che tutto sta andando bene in nome del progresso a tutti i costi.
Magni, da artista consapevole del suo tempo, è cosciente del fatto che dietro tante belle facciate si annida il desolante vuoto esistenziale dell’uomo contemporaneo e mira, nella sua ultima produzione, a tirar fuori dalle sue opere quella energia primordiale in grado di purificare simbolicamente le cose terrene. Nasce da questi intenti, l’ultima sua produzione che vede protagonista la ceramica smaltata.
Si distinguono in questa serie di sculture le forme di reliquiari, all’interno dei quali sono iscritte le immagini di elementi naturali quali il fuoco, la terra, l’aria (rappresentata da una piuma) e l’acqua, spesso unite a quelle di contenitori di medicine (blister) che ogni giorno milioni di persone assumono nel mondo. Il naturale e l’artificiale si incontrano sullo stesso piano di rappresentazione, non certo uniti per un dialogo, casomai al fine di provocare uno scontro che induca ad un cambiamento grazie al processo di trasformazione che il fuoco nella sua accezione metaforica è in grado di apportare.
Anche le montagne divenute torri hanno subito un ulteriore passaggio in quest’ultima produzione: dalla bidimensionalità della tela sono diventate sculture tridimensionali; esse si presentano smaltate in due diverse tonalità, il nero alla base (che rappresenta il buio, la cecità umana) e il bianco all’apice (della conoscenza, della rivelazione). Verso l’alto una fessura pronta ad accogliere una chiave, indica la via di accesso per ritrovare la giusta strada.
Magni, in definitiva, sembra volerci suggerire con le sue opere dei percorsi di conoscenza che possano aiutare l’uomo a riprendere contatto con sé stesso, in quella grande babele della globalità dove tutti sembrano essere connessi e in realtà si è sempre più soli.